Sunday, November 28, 2010

102. notte

Sempre, accanto una foto della strada umida, le foglie fredde, le foglie. Mi viene in mente un giorno in cui eravamo insieme mentre cercava un pullover blu dalle dimensioni perfette, non troppo stretto, non troppo lungo, caldo, caldissimo, per proteggerlo dal freddo dell'inverno, dal freddo, dall'inverno, da quell'inverno. Ripenso anche a quella volta mentre pensavo a come scappare via, a come afferrare le mie cose, a come sputarle fuori da quell'habitat ermetico, da quel dolore nauseante, da quell'imbarazzo, da quel terribile senso di perdita di tempo, di inganno. E quella notte, quando le finestre barrate toglievano il respiro fino a soffocarci tutti, il vento fuori, nel suo assordante rumore rompeva il prezioso silenzio. Ma nessuno sentiva, nel più profondo dei silenzi notturni, nessuno si agitava, nessuno muoveva le braccia e il collo, nessuno si alzava dal letto per bere, per guardare il vento oltre la finestra, nessuno si alzava per accendere il televisore per abbattere il cuore irrequieto e sprofondare nuovamente nel sonno. Intorno solo un groviglio di sogni ormai perduti, il vuoto, il silenzio come non lo avevo mai colto, il vento fuori continuava a soffiare, ma pacato e lieve, liberava il profumo della terra su cui giacevano i petali secchi e morti dell'ultima estate. Ricordo quell'estate dove il sole emanava un calore clamoroso e si correva, forse per rubarne i raggi, ma si cadde, in quel sole si cadde, nudi, senza colpe, senza ali per volare via, senza fiato, il vento era ancora molto lontano, ma già si sentiva l'efferatezza.

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